Disturbo dello spettro autistico: definizione e caratteristiche

Come la Mindfulness “educa” il cervello.

L’Essere Mindful e il Benessere psicofisico

La Mindfulness nel senso più generale del termine è il “risveglio” da una vita vissuta in automatico e l’essere sensibili alle curiosità ed alle novità della nostra vita vissuta nel quotidiano (Siegel, 2009). Nello stato di consapevolezza vigile, l’attenzione viene intenzionalmente rivolta con sollecitudine ed accuratezza, ad un ampio spettro di contenuti (sensoriali, cognitivi, emotivi) che emergono nello stato di coscienza del soggetto in un determinato momento. Scopo della pratica di mindfulness è rendere maggiormente stabile e frequente lo stato di consapevolezza evocandolo volontariamente in vari contesti formali e informali. Un aumento di consapevolezza allargata verso tutti gli stimoli interni ed esterni, porta ad una minore tendenza all’abituazione, cioè ad una ridotta attività neuronale in risposta ad un dato stimolo, quando questo stimolo viene ripetuto più volte (Treadway&Lazar, 2012)

“Non cercare di espellere i pensieri.
Dai loro spazio, osservali e lasciali andare”
JON KABAT-ZINN

La mente generalmente tende a vagare, ad essere disorganica oppure intorpidita, il più delle volte, rifugge da sé stessa, teme di osservarsi. In alcuni casi, in presenza di emozioni negative, si disregola, amplificando il disagio emotivo e creando problemi secondari, come l’ansia patologica o la depressione. La pratica di mindfulness permette di prendere confidenza con la mente, esplorandola in modo delicato e non giudicante. La consapevolezza così ottenuta, permette di affrontare con maggiore flessibilità e padronanza le emozioni dolorose, utilizzando strategie di fronteggiamento adattative e non-reattive. Inoltre, aiuta a compiere scelte di vita razionali e funzionali (mente saggia).

La meditazione può, sfruttando la neuroplasticità del cervello – sul piano dell’attività neuronale, ma anche su quello della struttura dei circuiti nervosi – produrre i cambiamenti da cui dipendono un più costante senso di soddisfazione e altri stati d’animo positivi. Pertanto, il costante esercizio estende in maniera significativa l’attività gamma, rinforza il collegamento tra i lobi prefrontali e l’amigdala / insula sposta l’equilibrio della corteccia prefrontale dal lato destro a quello sinistro. Andando ad incidere su una migliore regolazione dell’attenzione relativa alle emozioni e vari aspetti di elaborazione linguistica, regolazione cognitiva basata sul linguaggio e l’incremento dell’attenzione visiva (Lazar et al., 2005).
Già dalle prime settimane di pratica, si verifica una maggiore sincronia neurale dei sistemi cerebrali, aumenta la capacità di dirigere volontariamente l’attenzione alle esperienze del momento presente, migliorano l’attenzione selettiva, esecutiva e sostenuta (Chiesa et al. 2011, Segal et al. 2002, Kabat-Zinn 1990) e migliora la memoria a breve termine (McVay et al. 2009, Redick et al. 2006).

Da uno studio svolto nel 2005 da Lazar, Kerr, Wasserman e collaborator si rileva un aumento dello spessore di due parti del cervello, come effetto correlato all’esercizio costante della mindfulness: l’area prefrontale e l’insula. Questo studio mostra come l’attivazione delle aree coinvolte durante la meditazione portano ad una sincronizzazione e ad una integrazione emisferica. Ossia ad uno stato di più ampia presenza mentale (prefrontale) e di aumentata emotività (insula). La corteccia prefrontale sembra essere coinvolta nella modulazione della reattività dell’amigdala, una struttura fondamentale per la generazione di emozioni negative. Durante il processo mentale cosciente del “riesaminare” – che permette di modificare l’interpretazione che si dà ad uno stimolo emotivo, con l’obiettivo di ridurre il potenziale effetto stressante (Gross,2002) – una maggiore attivazione nella corteccia prefrontale è associata ad una attenuazione dell’attivazione dell’amigdala e ad una riduzione dell’intensità dell’effetto negativo.