Disturbo dello spettro autistico: definizione e caratteristiche

Definizione e caratteristiche del Disturbo dello Spettro Autistico

Il Disturbo dello Spettro Autistico (Autism Spectrum Disorder – ASD) è un disturbo del neurosviluppo a insorgenza precoce caratterizzato da difficoltà nell’interazione e comunicazione sociale e dalla presenza di interessi ristretti e comportamenti ripetitivi e stereotipati (APA, 2013).
L’ultima revisione del Manuale Statistico e Diagnostico (DSM), il DSM-5 (APA, 2013), ha proposto la categoria diagnostica “Disturbo dello Spettro Autistico” includendo in essa i precedenti sottotipi definiti come “disturbi pervasivi o generalizzati dello sviluppo”. All’interno della categoria
diagnostica dei disturbi pervasivi dello sviluppo presente nel DSM-IV-TR (APA, 2000) erano inclusi cinque disturbi: il disturbo autistico, la sindrome di Asperger, il disturbo disintegrativo dell’infanzia, la sindrome di Rett, e il disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato.
La revisione del DSM-5 elimina la caratterizzazione per sottotipi e ricorre al termine “spettro” per sottolineare l’eterogeneità del disturbo e indicare un continuum in cui ciascun individuo presenta le proprie specificità. Inoltre, il DSM-5 ha modificato i criteri diagnostici, passando dai tre precedenti criteri diagnostici categoriali a due criteri nuovi dimensionali: 1. Difficoltà di comunicazione sociale e di interazione sociale e 2. Comportamenti, interessi o attività ristretti e ripetitivi.

Disturbo dello spettro autistico DSM IV - DSM V

Dal DSM-IV al DSM-5. Modificazione dei criteri diagnostici e introduzione degli specificatori (PDD= Pervasive Developmental Disorders: ASD= Autism Spectrum Disorder).
Di seguito sono descritti i criteri diagnostici attualmente utilizzati secondo il DSM-5.
1. Deficit persistenti nella comunicazione sociale e nella interazione sociale in differenti contesti, che non siano una semplice conseguenza di un ritardo generale dello sviluppo e che si manifestano attraverso tutti i seguenti criteri:
– deficit nella reciprocità socio-emozionale: varia da approcci sociali atipici e fallimenti nella normale conversazione bidirezionale, a una riduzione della condivisione di interessi, emozioni e affetti, fino alla totale mancanza di iniziativa nell’interazione sociale reciproca;
– deficit nella comunicazione non verbale, comportamenti fondamentali per l’interazione sociale: varia da una comunicazione con scarsa integrazione degli aspetti verbali e non-verbali, ad anomalie nel contatto oculare e nel linguaggio corporeo, deficit nella comprensione e nell’uso della comunicazione non verbale, fino alla totale assenza di gesti ed espressioni facciali;
– deficit nello sviluppare e nel mantenere relazioni sociali appropriate al livello di sviluppo (oltre a quelle con i caregiver), che varia dalla difficoltà di modulare il comportamento nei diversi contesti sociali, alla difficoltà nel gioco immaginativo condiviso e nello sviluppare amicizie, fino alla (apparente) assenza di interesse verso le altre persone.
2. Un pattern ristretto e ripetitivo di comportamenti, interessi o attività, che si manifesta in almeno due dei seguenti criteri:
– eloquio, movimenti motori o uso degli oggetti stereotipato o ripetitivo, come stereotipie motorie, ecolalia, uso ripetitivo di oggetti o frasi idiosincratiche;
– eccessiva aderenza a routine, pattern ritualizzati di comportamenti verbali o non verbali, oppure eccessiva resistenza al cambiamento, come insistenza sugli stessi percorsi o sugli stessi cibi, domande ripetitive o estremo disagio per piccoli cambiamenti;
– interessi altamente ristretti e fissi, atipici per intensità o per focalizzazione, come forte attaccamento o preoccupazione per oggetti insoliti, interessi estremamente circoscritti o perseverativi;
– iper o ipo sensibilità a input sensoriali o interessi atipici per aspetti sensoriali dell’ambiente, come apparente indifferenza al dolore o al freddo, riposte evitanti a specifici suoni o aspetti tattili, eccessiva attività nell’odorare o nel toccare oggetti, fascinazione per luci o per oggetti che ruotano.
Alimentazione, selettività alimentare e disturbo dello spettro autistico
3. I sintomi devono essere presenti nell’infanzia, ma possono manifestarsi pienamente solo quando le richieste sociali eccedono le capacità limitate.
4. I sintomi nel loro insieme limitano e compromettono il funzionamento quotidiano.
Il DSM-5 ha introdotto anche degli indici, definiti specificatori, che contribuiscono a caratterizzare nel particolare la fenomenologia clinica del disturbo.
Tali specificatori sono:
– presenza o assenza di una compromissione intellettiva associata;
– presenza o assenza di una compromissione del linguaggio associata;
– associazione a una condizione medica o genetica o a un fattore ambientale conosciuto (ad esempio, un disturbo genetico conosciuto come la Sindrome di Rett, o un disturbo medico come l’epilessia);
– associazione a un altro disturbo del neurosviluppo, mentale o comportamentale (ad esempio, un ADHD o un disturbo d’ansia);
– associazione con catatonia.
Questi fattori, oltre che essere determinanti fondamentali per l’espressione fenotipica del disturbo, sono indici predittivi del futuro andamento di vita della persona autistica in termini di autonomia e qualità di vita (Smith, Klorman e Mruzek, 2015). Individui all’interno dello spettro autistico possono manifestare condizioni sintomatologiche molto eterogenee, in termini sia qualitativi sia quantitativi, e si possono distinguere forme a basso o ad alto funzionamento. Vengono definite persone «ad alto funzionamento» coloro che presentino un quoziente intellettivo almeno nella norma o superiore a essa (senza disabilità intellettiva, quindi senza DI), mentre coloro il cui funzionamento cognitivo risulti inferiore alle attese medie, viene definito «a basso funzionamento» (con DI). Nelle persone con disturbo dello spettro autistico, il funzionamento intellettivo è uno dei più importanti predittori dell’outcome sintomatologico in età adulta; per tale motivo è fondamentale la sua valutazione nella pratica clinica per la scelta dell’intervento terapeutico più appropriato (Begovac et al., 2009; Volkmar e Pauls, 2003). L’associazione tra disturbo dello spettro autistico e DI è stata riscontrata frequentemente in letteratura, anche se le stime sono cambiate in misura notevole nel tempo ed è tuttora acceso il dibattito sulla reale prevalenza di questa comorbidità, variando nei diversi studi dal 16,7% all’84% (CDC, 2014; Charman et al., 2011; Fombonne, 2003;
La Malfa et al., 2004). Uno studio italiano, valutando la prevalenza del disturbo autistico in un campione di 166 persone con DI, ha riportato un tasso del 39,2% (La Malfa et al., 2004).
Recentemente, una ricerca ha evidenziato che meno della metà dei bambini con disturbo dello spettro autistico (47,6%) presentava una disabilità intellettiva in comorbidità (Postorino et al., 2016). Questa ampia variabilità registrata in letteratura può essere almeno in parte spiegata
dall’applicazione di differenti strumenti per la valutazione del funzionamento intellettivo. Sebbene il livello cognitivo sia un importante predittore del futuro andamento del disturbo nell’adolescenza e nell’età adulta, l’outcome sintomatologico è fortemente condizionato anche dall’eventuale presenza di comorbidità neurologiche, genetiche, mediche e psichiatriche (Pellecchia et al., 2015). Recenti studi hanno messo in evidenza come la presenza di disturbi in comorbidità sia un fattore prognostico negativo sull’outcome clinico delle persone con autismo (Fein et al., 2013; Orinstein et al., 2014; Troyb et al., 2014).
La prevalenza di comorbidità nelle persone con autismo varia in modo sostanziale a seconda degli studi esaminati, dal 9 fino all’89% (De Micheli et al., 2012). Per quanto riguarda il versante neurologico, genetico e medico, le comorbidità comprendono: epilessia (tra l’8 e il 30%), sindromi genetiche (5%), problemi gastrointestinali (tra il 9 e il 70%), problemi del sonno (tra il 50 e l’80%).
È frequente anche l’associazione con disturbi psichiatrici come la depressione (tra il 12 e il 70%), il disturbo bipolare (tra l’8 e il 9%), i disturbi d’ansia (tra il 42 e il 56%), l’ADHD (tra il 30 e l’80%), il disturbo ossessivo-compulsivo (tra il 7 e il 24%), il disturbo psicotico (tra il 12 e il 17%), o con i disturbi della coordinazione (tra il 53 e il 58%) (Mazzone, Ruta e Reale, 2012).

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